“L’Italia che va”, grazie a Pmi e distretti
I distretti insieme alle piccole e medie imprese continuano a essere la colonna portante del sistema industriale italiano. Bastano i numeri del Rapporto dell’Osservatorio nazionale distretti 2014 di Unioncamere a renderlo evidente: le 278 mila piccole e medie imprese, con 1,4 milioni di addetti, producono circa 75 miliardi di euro di valore aggiunto e 77 miliardi di euro di saldo commerciale nel 2013 (sono 7,4 miliardi in più rispetto all’anno precedente).
Il Rapporto di Unioncamere sfata almeno due miti: che la globalizzazione avrebbe azzerato la connessione tra impresa e territorio e che i settori “maturi” sarebbero stati sopravanzati dalla concorrenza dei paesi emergenti. Quella del 2013 è infatti un’Italia che delocalizza meno (e che in qualche caso addirittura dall’estero ritorna “a casa”) e che cerca sempre di più la strada della collaborazione con altre imprese (anche all’estero) per essere competitiva. Tre i segni distintivi di questo modello: la priorità data alla qualità dei prodotti e dei processi; la preminenza della forma di impresa familiare; il radicamento e la tradizione produttiva del territorio.
Le aziende parlano di clima economico più sereno pur permanendo alcune incertezze, alle quali le imprese dei distretti rispondono con l’azione, continuando a puntare sulla qualità, considerata il primo vantaggio competitivo.
Ma vediamo più in dettaglio le “classifiche” dei distretti. Ad avere i migliori risultati economici nel 2013 è stato il metadistretto alimentare Veneto, seguito dal distretto delle pelli cuoio e calzature di Valdarno Superiore e da quello del tessile-abbigliamento di Empoli. Tra i primi venti distretti per risultati, ben diciotto sono localizzati nel Centro Nord e solo due nel Mezzogiorno. Spiccano nettamente i settori della moda, con sette distretti tra i migliori (considerando sia quelli del tessile-abbigliamento sia quelli delle calzature e pelli) e dell’agroalimentare, con sei distretti.