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Ancora un rinvio per il “Made in”

 

La seduta di fine 2014 del Consiglio europeo sulla competitività poteva essere l’occasione del via libera per il “made in”, dopo l’approvazione in aprile da parte del Parlamento europeo. Ma così non è stato: come recitano i comunicati ufficiali, il Consiglio non ha raggiunto l’accordo sull’etichettatura d’origine obbligatoria dei prodotti di consumo non alimentari e ogni decisione è stata rimandata alla prossima presidenza, previo esame di un ulteriore studio di impatto della misura.

Le associazioni di categoria parlano apertamente di “un’occasione persa”, perché il Consiglio europeo di dicembre si svolgeva sotto la presidenza italiana – che avrebbe dovuto mostrare una particolare sensibilità alla questione -, mentre il prossimo vedrà la presidenza della Lettonia, paese con interessi diversi dai nostri. Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria per l’Europa, ha definito il nulla di fatto “una doccia fredda per l’industria italiana”, aggiungendo che “il ‘made in’ avrebbe ricadute economiche concrete sui territori e soprattutto un impatto emotivo sugli imprenditori: ridarebbe loro quella punta di ottimismo, quella fiducia, che vale più di un trattamento economico”.

Per Claudio Marenzi, presidente Smi, si tratta invece di “una gravissima incomprensione del nostro governo sul manifatturiero. Confindustria e tutte le associazioni del settore, da Smi, ai calzaturieri al legno arredo si sono dette a favore del ‘made in’. È quasi paradossale che si debba spingere così tanto su un argomento che dovrebbe essere una delle priorità italiane: siamo il secondo paese manifatturiero in Europa, con qualche milione di persone occupate nei diversi comparti. E oltretutto il settore è il nostro biglietto da visita, la nostra eccellenza”.

 

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